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La grande depressione americana


All’inizio del Novecento, il boom economico che aveva investito gli Stati Uniti aveva indotto la società americana a nutrire una fiducia illimitata nel futuro. Era certamente cresciuto il numero di impiegati, i cosiddetti colletti bianchi, anima della classe media, ma persistevano in tutto il Paese ampie sacche di povertà. Il livello dei salari e la ricchezza complessiva erano aumentati, tuttavia esistevano ancora molte differenza di classe e squilibri sociali: si pensi che un terzo del reddito era nelle mani del 5% della popolazione.
La crisi del ’29 mise brutalmente a nudo l’illusione di una società solidamente prospera e ricca, arrestando la grande macchina dell’economia americana e rivelando così tutte le manchevolezze di vent’anni di politica liberista e di un capitalismo senza alcun controllo. La crisi, dunque, da economica, divenne sociale: in pochi anni circa 15 milioni di persone perse il lavoro a causa degli improvvisi fallimenti che colpirono le imprese ovvero il 22% della popolazione. Né furono solo le industrie a essere colpite, ma anche l’agricoltura, in particolar modo negli Stati del Sud, dove circa i tre quarti dei già poveri contadini furono ridotti alla fame. Il crollo delle azioni e il fallimento a catena di migliaia di banche distrussero i risparmi di quella che sembrava una forte classe media. Questa situazione produsse una massa di disperati che viveva in condizioni miserevoli, in coda per un pezzo di pane, a frugare tra i rifiuti per un po’ di cibo, vestita di stracci, spesso senza tetto piegata a fare l’elemosina o costretta a fare lavori umili. Furono numerosissimi i contadini che per debiti abbandonarono la proprie terre, vagando di Stato in Stato alla ricerca di una qualsiasi occupazione, D’altra parte, anche chi aveva avuto la fortuna di mantenere il lavoro vide il suo salario drasticamente ridotto. Il paradosso della crisi era che, mentre la gente moriva di fame, i raccolti venivano distrutti per non far cadere i prezzi dei prodotti alimentari, gli animali da allevamento venivano uccisi perché i mangimi erano troppo costosi; mentre le persone erano coperte di stracci, il cotone rimaneva nei campi. Una crisi lunga dieci anni, dalla quale gli Stati Uniti uscirono affidandosi allo Stato, che con una politica di grandi lavori pubblici ridusse considerevolmente il numero di disoccupati. L’impulso decisivo alla ripresa sarebbe giunto però dalle commesse militari allo scoppio della seconda guerra mondiale.



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